Il 28 settembre scorso è finalmente iniziata in Aula, alla Camera, la discussione della riforma della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza. La Commissione affari costituzionali ha concluso il 24 settembre scorso l’esame in sede referente di un testo unificato di 25 proposte di legge provenienti dai deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari, fra cui una di iniziativa popolare, l’atto Camera n. 9, depositata proprio a inizio di questa legislatura, promossa dal coordinamento nazionale «L’Italia sono anch’io», che vede al suo interno 19 organizzazioni della società civile di rilievo nazionale, appoggiate, altresì, dai comuni d’Italia. Il testo, all’esame dell’Assemblea, esce arricchito dall’esame svolto in Commissione, dove sono stati approvati 25 emendamenti provenienti da diverse parti politiche. .
Ritengo che questo sia un momento storico per la nostra vita parlamentare, perché della modifica delle norme sulla cittadinanza si discute ormai da più di 15 anni, da quando l’Italia è divenuta a tutti gli effetti una meta dei flussi migratori e il numero degli stranieri residenti e lungo residenti regolari nel nostro Paese ha iniziato a crescere. Il dibattito si aprì in questa direzione in un convegno della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, istituita dalla «legge Turco-Napolitano», n. 40 del 1998, presso il Dipartimento per gli affari sociali, organizzato a Roma, nel febbraio del 1999. Da allora molte proposte di legge sono state presentate in Parlamento, ma nessuna è mai riuscita a superare la fase della conclusione dell’esame referente in Commissione, alla quale, ad esempio, si era arrivati nella XV legislatura con un testo unificato, relatore Bressa. Quindi, ritengo particolarmente importante il fatto che oggi, non solo il testo è approdato in Aula, ma che ci sia un accordo tra le forze politiche di maggioranza che fa ben sperare sul buon esito del provvedimento.
Il fenomeno migratorio ha imposto da tempo una riflessione sull’impianto della legge in materia di cittadinanza, oggi prevalentemente fondata su una concezione etnica della stessa, che trova espressione nel principio dello ius sanguinis, il quale favorisce la trasmissione dello status di cittadino ai discendenti dei cittadini, anche in assenza di un legame effettivo con il nostro Paese, in quanto è sufficiente avere un avo tra i propri ascendenti, a prescindere dalla conoscenza della lingua, dal mantenimento di un rapporto culturale, economico o dalla effettiva presenza.
Questa impostazione, coerente con la condizione di un Paese di emigrazione quale era l’Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale, necessita oggi di essere aggiornata alle condizioni di un Paese in cui, secondo i dati ISTAT, al 1o gennaio 2015 risiedevano 5.014.437 cittadini di origine straniera, di cui va detto che oltre 2 milioni e 600 mila provengono da Paesi europei e, tra questi, 1,5 milioni provenienti da Paesi membri dell’Unione europea. È, quindi, un fenomeno che vede una presenza extra Unione europea consistente in poco meno della metà degli stranieri residenti.
Nell’affrontare questo tema, oggetto di forte contrapposizione politica, la I Commissione ha scelto di concentrarsi sulla fondamentale questione dell’acquisto della cittadinanza da parte dei minori, in particolare dei minori che nascono in Italia da genitori stranieri che abbiano consolidato il loro progetto di vita nel nostro Paese, il cosiddetto ius soli temperato, e di quelli che, arrivati in Italia in tenera età, abbiano frequentato regolarmente nel nostro Paese un percorso scolastico, il cosiddetto ius culturae. Questa scelta è mirata a rispondere ad una pluralità di esigenze e di obiettivi:
1) essere strumento di integrazione, di uguaglianza, di crescita demografica e di crescita economica.
Strumento di integrazione, perché favorisce la coesione sociale, la lotta al razzismo, a fenomeni di discriminazione e di marginalizzazione a danno di un’importante parte della popolazione, quella dei minori stranieri, che oggi raggiunge l’8,2 per cento della popolazione complessiva presente nel nostro Paese, e risponde ad un principio di equità, se pensiamo alla condizione in cui versano i bambini che nascono, crescono e sono educati nel nostro Paese, accanto o insieme ai nostri figli, ma che sono trattati da stranieri e che non sempre al raggiungimento della maggiore età riescono a dimostrare la presenza continuativa per 18 anni consecutivi nel nostro Paese, requisito oggi richiesto per poter rivendicare lo ius soli.
2) essere strumento di crescita demografica, perché noi tutti conosciamo i dati drammatici della crescita demografica zero. Crescita zero è tale grazie alla presenza degli stranieri e dal contributo positivo che le donne straniere danno alla natalità, anche se questo dato è in calo e dimostra un’inversione di tendenza, tant’è che le famiglie straniere residenti risultano composte da 3,5 componenti. Quindi, anche il contributo positivo che derivava dalle donne straniere sta calando. Si ha una crescita demografica zero nel nostro Paese, che sarebbe invece molto negativa, qualora tenessimo conto dei non nati italiani, dei morti, degli emigrati italiani verso altri Paesi. Inoltre, il saldo nati vivi che oggi in Italia si registra è a un livello negativo mai raggiunto dopo il biennio 1917-1918, gli ultimi due anni del primo conflitto mondiale.
3) essere anche di strumento di crescita economica, perché è una scelta che favorisce la permanenza sul nostro territorio di un’importante parte della popolazione attiva, quella più vitale, intraprendente e istruita, se pensiamo che, sempre sulla base dei dati ISTAT, oltre il 50 per cento degli stranieri residenti, nati o arrivati in Italia da minorenni, risulta oggi in possesso di un titolo di studio pari almeno alla scuola secondaria superiore o alla laurea. Quindi, il tema della qualità degli stranieri presenti sul nostro territorio è fortemente legato a pregiudizi e non ai dati reali, che invece, anche solamente leggendo i dati demografici nazionali, si potrebbero evidenziare.
In base al testo unificato, presentato per l’Aula, acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno dell’Unione europea per soggiornanti di lungo periodo, il cosiddetto ius soli temperato. Si tratta della carta di soggiorno di lungo periodo che acquistano solamente i cittadini che abbiano alle spalle almeno cinque anni di permesso di soggiorno, oltre alla conoscenza della lingua al livello A2, un alloggio adeguato, un reddito sufficiente previsto per legge e che non abbiano carichi pendenti o clausole ostative. La cittadinanza, quindi, si acquista mediante dichiarazione di volontà, espressa da un genitore o da chi esercita responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell’interessato. L’interessato può comunque rinunciare alla cittadinanza così acquisita, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, purché in possesso di altra cittadinanza, in quanto l’acquisto della cittadinanza rimane comunque una dichiarazione di volontà, esercitata dai genitori o dagli esercenti la responsabilità in minore età o dall’interessato al raggiungimento della stessa.
Ove il genitore non abbia reso la dichiarazione, appunto, l’interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza all’ufficiale di stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Queste sono le previsioni di cui all’articolo 1, comma 1, della proposta di legge. Inoltre, con riferimento alla fattispecie di acquisto della cittadinanza per ius soli, già prevista dalla normativa vigente (articolo 4, comma 2), relativa allo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente, senza interruzioni, fino alla maggiore età, il termine per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza viene aumentato da uno a due anni dal raggiungimento della stessa, per equipararla ai nuovi termini previsti da questa proposta di legge di modifica.
La seconda fattispecie che viene introdotta con questo testo unificato fa riferimento all’acquisto della cittadinanza per il minore straniero che sia nato in Italia e che non possa rivendicare i requisiti di cui allo ius soli temperato descritto in precedenza, o che vi abbia fatto ingresso prima del compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa scolastica vigente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale d’istruzione o percorsi d’istruzione e formazione professionale, di natura triennale o quadriennale, idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso d’istruzione primaria, è altresì richiesta la conclusione positiva di tale corso. Questi i contenuti del cosiddetto ius culturae.
Anche in questo caso, la cittadinanza si acquista mediante dichiarazione di volontà di un genitore o di un esercente la responsabilità genitoriale, fatta davanti all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, dichiarazione che può essere sempre fatta dalla maturazione del requisito fino al compimento della maggiore età dell’interessato. Inoltre, ai fini della presentazione della dichiarazione da parte del genitore, è comunque richiesta la residenza legale del genitore stesso, che presuppone la regolarità del relativo soggiorno. Anche per tale fattispecie l’interessato può rinunciare alla cittadinanza, qualora il genitore o l’esercente la responsabilità l’abbia richiesto a suo tempo, ovvero richiederla lui stesso, qualora al raggiungimento della maggiore età il genitore non abbia reso tale dichiarazione.
Oltre a queste ipotesi, che configurano un vero e proprio diritto all’acquisto della cittadinanza, la proposta introduce un ulteriore caso di concessione della cittadinanza, la cosiddetta naturalizzazione – infatti, va a modificare l’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 –, che ha carattere discrezionale per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, quindi vi risulti legalmente residente da almeno sei anni, che abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente in materia scolastica, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale d’istruzione ovvero un percorso d’istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale. Tale fattispecie dovrebbe riguardare soprattutto il minore straniero che ha fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo e il diciottesimo anno di età.
Viene, inoltre, modificata la disciplina dell’acquisto della cittadinanza da parte dei figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, che attualmente subordina l’acquisto da parte dei minori al requisito della convivenza con il genitore. Il requisito della convivenza viene eliminato ed è richiesta unicamente la non decadenza dalla responsabilità genitoriale, quindi tenendo conto anche delle fattispecie in cui il minore può convivere con un genitore non esercente la responsabilità genitoriale.
Il testo unificato prevede l’esonero dal contributo dei 200 euro, previsto dalla normativa vigente, per le istanze e le dichiarazioni riguardanti la cittadinanza relative ai minori o conseguenti a dichiarazioni di acquisto della cittadinanza dell’interessato da rendere entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Sono poi dettate una serie di disposizioni di carattere interpretativo:
Il requisito della minore età deve essere riferito al momento della presentazione dell’istanza da parte del genitore e non al momento della conclusione della procedura.
si considera legalmente residente chi risieda nel territorio dello Stato avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalla normativa dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e quello sull’iscrizione anagrafica.
come termine iniziale del periodo di residenza legale si considera la data di rilascio del primo permesso di soggiorno, se ad essa ha fatto seguito l’iscrizione anagrafica. Inoltre, eventuali periodi di cancellazione anagrafica non pregiudicano la residenza legale se ad essi ha fatto seguito la preiscrizione nei registri anagrafici e se l’interessato dimostra di aver continuato a risiedere sul territorio nazionale.
si considera che abbia soggiornato e risieduto in Italia senza interruzioni chi abbia trascorso all’estero un tempo mediamente non superiore a novanta giorni per anno, calcolato sul totale degli anni considerati.
inoltre, ai fini dell’acquisto della cittadinanza per nascita da uno straniero in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo UE, si considera in possesso del predetto permesso anche lo straniero che, avendo maturato i relativi requisiti, abbia presentato l’istanza prima della nascita del figlio e ottenga il rilascio del permesso successivamente alla nascita.
è previsto l’obbligo per gli ufficiali di anagrafe di comunicare, nei sei mesi precedenti il compimento della maggiore età, ai residenti di cittadinanza straniera la facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza per ius soli temperato o ius culturae, con indicazione dei relativi presupposti e delle modalità di acquisto. In caso di inadempimento di tale obbligo, è sospeso il termine di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza. La disposizione riprende quanto già previsto per l’acquisto della cittadinanza per ius soli, in base alla normativa vigente, dall’articolo 33, comma 2, del decreto-legge n. 69 del 2013, che viene conseguentemente abrogato. Si è voluta inserire la norma all’interno della legge n. 91 del 1992, in modo da tenere la materia accorpata in modo omogeneo all’interno di un unico testo.
è, inoltre, attribuita ai comuni, in collaborazione con gli istituti scolastici, la promozione, in favore di tutti i minori, di iniziative di educazione alla conoscenza e alla consapevolezza dei diritti e dei doveri legati alla cittadinanza e di una giornata o di un evento dedicati all’ufficializzazione dei nuovi cittadini, senza oneri aggiuntivi per lo Stato.
a livello procedimentale viene, inoltre, previsto che le istanze per la concessione della cittadinanza – la cosiddetta naturalizzazione – siano presentate al prefetto o all’autorità consolare (articolo 2, comma 1), legificando quanto già previsto da fonte regolamentare all’articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 1994.
inoltre, i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile sono esclusi da quelli per il cui rilascio è necessaria l’esibizione, da parte dello straniero, del permesso di soggiorno. L’esecuzione delle disposizioni della legge è demandata ad un regolamento governativo, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
Infine, è stata oggetto di discussione, nel corso dell’esame in sede referente, l’introduzione di una norma transitoria che disciplini la situazione di chi, pur essendo in possesso dei nuovi requisiti per l’acquisto della cittadinanza, abbia già compiuto vent’anni al momento dell’entrata in vigore della legge e si trovi pertanto impossibilitato ad esercitare il diritto di acquisto per la decorrenza dei termini di presentazione della relativa dichiarazione. Questo tema è stato oggetto di discussione ed era stato oggetto di presentazione di emendamenti e poi discussioni in fase finale del testo unificato; non è stato un tema risolto tant’è che il testo presentato per l’Aula non prevede una norma che espliciti la sua applicazione anche a favore degli ultraventenni che siano ancora residenti in Italia e che abbiano già maturato i requisiti che questo nuovo testo va a introdurre e, pertanto, rimane un tema aperto di discussione per l’Aula, così come altre questioni che erano state presentate e che sicuramente saranno oggetto di emendamenti in Aula e, quindi, potranno vedere, oltre che un’ulteriore discussione, anche una fase di ulteriore miglioramento del testo che è stato qui presentato.
Tutti abbiamo chiaro che l’immigrazione è un fenomeno ormai strutturale, destinato a cambiare la società italiana. Cambiare le norme per l’accesso alla cittadinanza è un passaggio decisivo sul piano culturale, su quello degli effetti concreti che può produrre. Oggi, quella di tanti migranti è una appartenenza monca alla comunità sociale, relegati in una condizione di minorità, di esclusione; spesso non ce ne accorgiamo neppure, viviamo e lavoriamo ogni giorno accanto a persone che consideriamo a tutti gli effetti nostri concittadini, ma che, in realtà, non hanno gli stessi nostri diritti.
La nozione di cittadinanza come pura iscrizione anagrafica, vincolata a un potere concessorio che enfatizza il valore simbolico dell’esclusione di chi ne è privo, stride con l’idea sempre più diffusa nel senso comune di cittadinanza come appartenenza a una collettività di persone. Sei cittadino non in base a dove e a da chi sei nato, ma perché in questo territorio vivi, lavori, costruisci affetti e relazioni, condividi diritti e doveri, ti fai parte attiva e consapevole di una comunità.
E, allora, la legge è bene che si adegui a questa evoluzione del concetto di cittadinanza e il testo che oggi in discussione è un passo avanti decisivo in tal senso; riguarda, come è stato detto, le nuove generazioni, quelle da cui dipenderà il futuro della nostra società. Ogni anno decine di migliaia di bambini nascono da genitori immigrati, altri arrivano qui piccolissimi, frequentano le nostre scuole, imparano la nostra lingua, giocano con i nostri figli, fanno il tifo per le stesse squadre, crescono fra noi, ma restano stranieri. Come non capire che questa è una bomba a orologeria per la coesione sociale, per il futuro della coesione sociale nel nostro Paese ? Allora è bene che i bambini e le bambine che nascono da immigrati stabilmente residenti in Italia siano italiani; non solo, è bene che lo siano anche quelli che in Italia non sono nati, ma ci arrivano da piccoli, da piccolissimi e qui compiono il loro percorso di crescita e il loro percorso scolastico.
Il Paese è pronto a questo cambiamento. Siamo già una società nuova in cui nativi e migranti hanno la medesima necessità di lavoro, di sicurezza, di vita sociale, di identità culturale e religiosa e penso che è ora che abbiano anche uguali diritti. È ora di capire che più diritti e sicurezza per alcuni significa anche più diritti e sicurezza per tutti, ed è ora di capire che non è in gioco la tutela di una minoranza, ma la tenuta e la qualità della nostra società e della nostra democrazia.
- Il testo della Proposta di Legge
- Il video del mio intervento alla Camera
- Gli emendamenti presentati in Commissione
- Emendamenti approvati
- I dossier di approfondimento Camera dei Deputatio
- Dossier del Gruppo PD
- L’iter del provvedimento