Siamo al passaggio forse decisivo della crisi italiana di questi anni. Una recessione prolungata dell’economia e un dramma sociale che tutte le generazioni nate dopo la guerra non avevano mai conosciuto si sono saldati al venir meno degli ancoraggi istituzionali e a una delegittimazione di partiti, sindacati, associazioni di interesse e categoria. La fine dell’ultimo governo di centrodestra nell’autunno del 2011 è coincisa con l’avvio di una stagione, tuttora in corso, caratterizzata da esecutivi tecnici o di larga intesa, dall’incerto segno politico. Ciò ha consentito una tenuta del sistema-paese sotto il profilo dei conti pubblici e del rispetto dei vincoli contratti in Europa, ma non ha impedito un pericoloso divorzio tra milioni di cittadini e lo Stato nelle sue diverse articolazioni. Oggi siamo giunti al punto più alto di questo deterioramento delle istituzioni, e ciò mentre si intravedono solo timidi segnali di una ripresa possibile. Di fronte a tutto questo la risposta che le classi dirigenti italiane – tutte, non solo la politica – sono in grado di offrire deve risultare all’altezza. E tale responsabilità ricade, in misura notevole, sul Partito Democratico.
Le elezioni politiche del 2013 hanno lasciato l’Italia senza una chiara maggioranza di governo. Questa condizione ha determinato la nascita di un esecutivo che ha retto le sorti dell’economia in uno dei passaggi più drammatici della storia recente. Nei dieci mesi che abbiamo alle spalle la crisi economica e sociale è stata affrontata da Enrico Letta e dal suo governo col massimo dell’impegno, in un contesto agitato dalla procedura della decadenza dal Parlamento del leader della destra italiana. La frattura del PdL con la nascita del Nuovo Centro Desta, le divisioni dentro Scelta Civica insieme all’esito del congresso del Partito Democratico hanno inciso in modo decisivo sul quadro politico e accelerato i tempi dell’ultima crisi di governo, consumata in un passaggio traumatico come dimostrano dubbi e inquietudini che attraversano l’opinione pubblica e lo stesso popolo delle primarie. Sulla procedura che ha condotto a questo sbocco manteniamo un giudizio critico anche se abbiamo tenuto un comportamento responsabile dinanzi alla scelta del segretario del PD di operare una svolta immediata nella guida e nel programma del governo. Sulla base di queste premesse oggi la questione di fondo riguarda l’indirizzo strategico che il premier incaricato intende porre a fondamento del cambiamento radicale annunciato.
Quale governo per quale idea di paese e per quale politica in Europa: solo partendo dalla testa e non dalla coda il confronto acquista il significato e la gravità che il momento impone a tutti. In discussione è la tenuta del Paese, la possibilità per l’economia italiana di agganciare la ripresa, la messa in sicurezza del nostro ordinamento e la riorganizzazione dello Stato in un nuovo patto democratico tra i cittadini e le istituzioni della Repubblica. Non è dunque solo di una staffetta alla presidenza del Consiglio che si sta parlando, ma delle premesse sulle quali costruire un approdo sicuro per la nostra transizione democratica, attualmente compromessa dalla disgregazione sociale, dalle crescenti differenze economiche, dalla subalternità del lavoro e dalla sua strutturale mancanza, dall’incertezza per il futuro, dalla protesta contro le politiche e le istituzioni della democrazia repubblicana.
Europa, lavoro, diritti e qualità della democrazia sono i tre capitoli che mettiamo al centro dell’agenda del nuovo governo. Chiediamo al presidente del Consiglio incaricato di esporre con chiarezza le linee sulle quali intende agire. In questa nota offriamo una traccia del nostro contributo.
EUROPA
L’Europa è a un passaggio decisivo della sua storia. L’eurozona ha difetti sistemici che non riguardano solo i paesi periferici. La sfida a cui siamo chiamati è spezzare il circolo vizioso tra stagnazione economica, fratture sociali e sfiducia verso il processo di integrazione. Riuscirci vuol dire imprimere alle politiche europee una svolta per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione, rafforzare la legittimazione democratica delle istituzioni dell’Unione accelerando un vero governo economico dell’euro fondato sul metodo comunitario. In questo quadro il semestre italiano può offrire un contributo importante nella transizione istituzionale che sarà aperta dalle elezioni di maggio e nella definizione di una nuova agenda europea.
Una svolta per la crescita deve prendere atto che la linea mercantilista dell’eurozona, segnata da austerità, primato delle esportazioni e svalutazione del lavoro non consente una vera ripresa e rischia di rendere insostenibili i debiti pubblici dei paesi in maggiore sofferenza. Gli ostacoli per una svolta sono evidenti ma è compito anche dell’Italia agire per una correzione della rotta. Il rilancio della domanda interna, degli investimenti pubblici e privati, il sostegno all’occupazione e alla coesione sociale, il rafforzamento della competitività attraverso l’innovazione e le riforme devono procedere di pari passo. Per questo la costruzione di una autentica Unione economica e monetaria imperniata su unione bancaria, unione fiscale e unione economica va rimessa in moto su basi nuove. E un processo che va imperniato sulle istituzioni dell’Unione e integrato con un solido pilastro sociale dell’Uem.
La procedura per gli squilibri macroeconomici va attuata in modo simmetrico richiedendo una correzione espansiva delle politiche fiscali anche ai paesi in forte surplus commerciale. La proposta di “accordi contrattuali” va riformulata collegando il rafforzamento del coordinamento della politica economica alla costruzione di una capacità fiscale dell’eurozona alimentata da risorse proprie come la tassa sulle transazioni finanziarie, e un’interpretazione più flessibile del patto di stabilità.
In particolare per l’Italia è importante che gli obblighi di riduzione del debito siano ponderati alla luce di fattori rilevanti come la stagnazione economica, la deflazione dei prezzi, i forti crediti verso la pubblica amministrazione e il bisogno di rilanciare gli investimenti. Per questo il rispetto della regola del debito (sia nell’attuale fase di transizione che in quella della riduzione del 20º della quota eccedente il 60%) dovrebbe essere tarato sull’equilibrio strutturale di bilancio ed essere affiancato da un piano straordinario per il rilancio degli investimenti alimentato dai proventi delle privatizzazioni, da un uso concentrato dei fondi strutturali europei e da una deviazione temporanea del deficit strutturale dell’ordine dello 0,5% del Pil per tre anni. Il piano dovrebbe finanziare direttamente investimenti nella ricerca, innovazione, reti digitali, rigenerazione urbana, messa in sicurezza di scuole e ospedali, e cura e prevenzione del dissesto idrogeologico. In parte incentivare con effetto leva gli investimenti privati e l’occupazione attraverso garanzie al credito e sgravi fiscali. Al rilancio degli investimenti dovrà concorrere anche un fondo europeo per la garanzia al credito con l’obiettivo di riattivare il flusso dei finanziamenti bancari in particolare verso le piccole e medie imprese.
Rilanciare le ragioni dell’unità europea è possibile solo ripartendo dai suoi valori costitutivi. Significa porre al centro i capitoli della pace (la vicenda ucraina occupa le cronache di questi giorni) e della cooperazione internazionale, in particolare con i paesi della sponda sud del Mediterraneo. L’Italia, anche in ragione della sua Costituzione, deve rilanciare i processi di dialogo e prevenzione dei conflitti, sollevare il tema della cooperazione allo sviluppo e di un adeguamento del modello di difesa. Il rafforzamento dell’identità europea della Difesa e la necessità di ottenere concreti passi in avanti nella realizzazione di un efficace sistema di difesa comune costituiscono l’orizzonte dentro il quale misurare anche la validità dei più importanti programmi nazionali. Ed è in tale prospettiva che dovranno essere inserite le scelte strategiche che il nostro paese dovrà compiere e sostenere nei prossimi anni. A questo proposito, per le molte criticità emerse e per l’allarme suscitato nell’opinione pubblica da questo progetto di spesa militare, crediamo necessario un ridimensionamento significativo degli schemi di accordo con la Lockheed Martin sul programma F35 e un reinvestimento sulle maggiori e migliori garanzie – tanto di sovranità operativa quanto di ricaduta economica e occupazionale – offerte dall’Eurofighter.
L’Italia avrà in futuro la necessità di assumere decisioni strategiche in merito alle politiche di difesa e sui sistemi d’arma. Negli anni il ruolo del Parlamento è stato via via rafforzato. La misura principale per allargare la base decisionale di scelte così impegnative è rappresentata dall’articolo 4 comma 2 della legge 244 del 31 dicembre 2012, che ha riconosciuto al Parlamento un ruolo decisivo su tali materie. Occorre garantire al Parlamento un accesso alle informazioni molto più penetrante e la possibilità di avvalersi – nella sua opera di conoscenza e di controllo – di competenze qualificate e istituzionalizzate, che abbiano le caratteristiche dell’indipendenza e della terzietà.
L’Europa è soprattutto il continente dei diritti umani, civili, sociali, politici, culturali, da garantire a tutti i cittadini che si trovino a risiedere sul suolo europeo.
LAVORO
Il lavoro deve rappresentare la stella polare del programma di governo. Si tratta di uno snodo essenzialmente macro-economico. Bisogna ripartire da un’idea chiara sulle politiche industriali, sul contesto produttivo, sul modello di impresa e investimenti nell’innovazione di processo e prodotto (cogliendo le centralità sulle quali fare leva: Agenda digitale, messa in sicurezza del suolo, detassazioni finalizzate al rilancio della crescita). Nella fase in corso, è anche un tema di redistribuzione dei tempi di lavoro. In questo senso costo e disciplina del mercato del lavoro e forme contrattuali, se aggredite con soluzioni adeguate, rappresentano un complemento necessario.
Il focus del programma deve mirare a innalzare il livello dell’attività produttiva. Significa sostegno alla domanda aggregata, maggiori consumi e investimenti, una diversa distribuzione del reddito e leve di finanza pubblica per alimentare investimenti produttivi, semplificando la vita delle imprese e incentivando la loro sfida sui mercati internazionali. La nostra spesa pubblica pro-capite, al netto degli interessi sul debito, è tra le più basse dell’euro-zona. Naturalmente va liberata da sprechi e inefficienze. Risparmi significativi possono derivare da una ristrutturazione dello Stato e delle sue articolazioni. Anche per questo la revisione del Titolo V è occasione da non sprecare. Le risorse recuperate per prima cosa devono integrare i capitoli decimati dai tagli orizzontali, in particolare scuola pubblica e politiche sociali. Il peso insopportabile delle imposte, in particolare su lavoro e impresa, va ridotto col recupero di evasione, la variabile davvero fuori linea (è il doppio) rispetto alla media europea.
Data l’emergenza lavoro sul fronte giovanile, proponiamo la creazione di un “Servizio civile per il lavoro”, nel quadro della “Youth Guarantee”, per consentire una prima esperienza lavorativa (1 anno) e un sostegno al reddito analogo all’indennità di disoccupazione. Le linee guida del Jobs Act contengono un richiamo, che valutiamo positivamente, alle politiche industriali. L’obiettivo da perseguire è in un mix di strategie orientate alla domanda e non solo all’offerta perché l’intervento pubblico non può essere limitato alla mera “definizione del campo di gioco”. L’emergenza è evitare l’impoverimento tecnologico del Paese.
Il programma di vendita di quote delle aziende pubbliche va subordinato a specifici piani industriali. I proventi devono andare a finanziare la riduzione del cuneo fiscale e il “Servizio civile per il lavoro”, invece che una irrilevante riduzione di debito pubblico. È prioritario promuovere l’utilizzo intensivo di tecnologie digitali (new makers e stampe 3D). E poi: beni comuni, salute e benessere delle persone (contro ogni barriera architettonica); patrimonio paesaggistico e culturale; agroalimentare. Con la Politica Agricola Comunitaria 2014-2020 e in vista di Expo Milano 2015, l’agroalimentare (parliamo del 17% del Pil) va valorizzato con misure per l’internazionalizzazione, competitività e distintività delle nostre produzioni. Insieme va istruita una stagione di innovazione privilegiando la sostenibilità delle politiche agricole, il contrasto ai mutamenti climatici anche con il varo di un piano forestale nazionale, e avviando in sede UE e internazionale un impegno rinnovato affinché la centralità del cibo, la difesa del suolo agricolo dalla cementificazione, il corretto uso delle risorse idriche, l’eliminazione degli sprechi alimentari trovi uno sbocco programmatico e normativo.
Per attuare le strategie di politica industriale, è essenziale chiarire la missione e potenziare il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, catalizzatrice anche di investitori istituzionali. Va costruita una cabina di regia per coordinare le partecipazioni azionarie dello Stato. La domanda pubblica di beni e servizi a livello nazionale e locale deve trasformarsi in un motore di innovazione. Tra gli obiettivi delle politiche industriali va inclusa la promozione dell’efficienza energetica, la bonifica dei siti industriali inquinati, Occorre una politica industriale che assuma la sostenibilità come obiettivo anche attraverso la promozione dell’efficienza energetica, la bonifica dei siti industriali inquinati, la riqualificazione energetica degli edifici, sostenuta dal 2007 da crediti d’imposta ad hoc ma di carattere temporaneo, il sostegno alla green economy, la strutturazione della filiera agroalimentare e la difesa del Made in Italy, la riduzione delle emissioni CO2. Lo stesso allentamento del Patto di Stabilità dei Comuni previsto dalla Legge di Stabilità va rapidamente trasformato in investimenti di difesa del territorio, mentre va definito un piano in più anni per la messa in sicurezza delle nostre scuole (unificazione e implementazione dell’anagrafe dell’edilizia scolastica e unificazione in capo al MIUR dei fondi destinati all’edilizia scolastica). La domanda pubblica va orientata nuovamente nel senso di favorire una nostra politica dell’ambiente e per l’ambiente.
Per le riforme del mercato del lavoro e del welfare indichiamo i titoli fondamentali:
Piano di recupero dell’obbligo scolastico e contrasto alla dispersione, formazione permanente, sostegno alla scuola pubblica a tempo pieno e riqualificazione degli istituti tecnico-professionali.
La necessità di una vera e potente semplificazione delle procedure, anche di quelle che riguardano il lavoro e il rapporto tra stato /imprese/ lavoratori.
Introduzione del Contratto di inserimento a tempo indeterminato secondo la proposta di legge presentata dal PD. In particolare l’eventuale incentivo legato alla “prova lunga”(da sei mesi a tre anni) deve essere erogato al datore di lavoro soltanto al termine del periodo e se avviene la trasformazione a tempo indeterminato del contratto; in caso di licenziamento durante la prova, va garantito al lavoratore un congruo indennizzo economico. Riteniamo essenziale che il passaggio alla stabilità, dopo la prova, comporti la piena tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i neo-assunti sia per quanto riguarda il licenziamento senza giusta causa per motivo discriminatorio sia per motivi economici.
Disboscamento delle forme di lavoro precario. Valutare gli strumenti per un censimento, verifica e anagrafica delle diverse forme di lavoro precario e conseguenti prospettive di stabilizzazioni o scivoli.
Introduzione di un salario o compenso minimo orario per chi non ha un contratto di lavoro di riferimento, nel solco della strategia indicata dal presidente Obama negli Stati Uniti.
Piano straordinario per l’occupazione femminile con sgravi fiscali per l’assunzione a tempo indeterminato, in particolare nel Mezzogiorno. Occorre un Piano di investimenti per gli asili nido e per attuare politiche di conciliazione famiglia-lavoro. Va dedicata una parte precisa del programma sul lavoro alle azioni per incentivare qualità e quantità dell’occupazione delle donne. E’ fondamentale intervenire sui percorsi di formazione professionale, per rompere la separazione che ancora esiste tra i percorsi dei ragazzi e quelli delle ragazze oltre a insistere per una più forte garanzia dei diritti per la maternità in tutte le forme di lavoro.
Trasformazione dell’indennità di maternità in diritto di cittadinanza e sostegno al reddito e servizi alle madri che hanno perso il lavoro.
Semplificazione delle normative sul lavoro e introduzione dello “Statuto del lavoro autonomo”. L’Istat ha classificato i lavori autonomi in quattro categorie: imprenditori e lavoratori in proprio / liberi professionisti / coadiuvanti e soci di cooperative / collaboratori e lavoratori occasionali. Riteniamo utile individuare un insieme di principi e regole essenziali per non annullare le singole specificità, ma definire un patrimonio di tutele e incentivi rispondenti alle esigenze di questi soggetti. In particolare garantendo una burocrazia più rapida per l’avvio di un’attività autonoma, una regolazione della rappresentatività delle associazioni di rappresentanza dei lavoratori autonomi; l’apertura di servizi di consulenza organizzativa, finanziaria, di mercato e di certificazione delle competenze per chi avvia un’attività autonoma; esenzione di Irap e Irpef per i primi tre anni d’attività ai giovani fino a 35 anni e ai disoccupati di lunga durata che aprono un’attività autonoma; istituzione di prestiti a tassi agevolati; formazione e aggiornamento professionale con programmi formativi e voucher specifici per i lavoratori autonomi; promozione del lavoro autonomo femminile con il finanziamento di apposite azioni positive e la costituzione di un fondo nazionale per l’imprenditoria femminile; finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, esclusione dall’Irap per i lavoratori autonomi senza impresa e aumento delle deduzioni per gli altri; tutela per i ritardati pagamenti e facilitazione nell’accesso al credito; assicurazione obbligatoria contro gli infortuni anche per i lavoratori autonomi; finanziamento per gli investimenti e la prevenzione per la sicurezza sul lavoro; compensi equi, regolati e tutelati; sostegno alla maternità pienamente esigibile anche per le lavoratrici autonome; riduzione dell’aliquota contributiva allineata a quella degli altri lavoratori autonomi iscritti all’Inps.
A proposito della definizione del nuovo Codice del lavoro, la semplificazione non deve tradursi in una deregolazione delle tutele: un conto è sveltire le procedure, semplificare gli adempimenti, rendere più chiara e organica la normativa, un altro cancellare i diritti. La semplificazione deve essere vantaggiosa per tutti, imprese e lavoratori, dando certezza al diritto.
Sul tema degli ammortizzatori sociali: l’idea condivisibile di un assegno di disoccupazione universale per chi perde il lavoro, non va confusa con la Cassa integrazione. Nel primo caso si tratta di uno strumento pagato dalla fiscalità generale a vantaggio del disoccupato; nel caso della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria si tratta di una tutela che viene pagata, in termini mutualistici, dalle imprese e dai lavoratori e che mantiene il rapporto di impiego. E’ invece necessario riformare la Cassa integrazione in deroga che si è ormai trasformata in una specie di indennità di disoccupazione, prevedendo un contributo delle imprese e dei lavoratori che la utilizzano. Il Governo uscente ha presentato un decreto legge su questo tema che verrà discusso a breve dal Parlamento.
Consolidamento ed estensione della Cassa Integrazione, introduzione di un assegno di disoccupazione universale e messa a regime del Sostegno all’Integrazione attiva, costruendo un vero Piano di contrasto a vecchie e nuove povertà. La crisi ha letteralmente trascinato pezzi del ceto medio in una spirale di impoverimento: la messa a punto di iniziative di sostegno al reddito deve rappresentare una delle priorità del nuovo governo.
Regolazione della Rappresentanza e della rappresentatività sindacale. Ci sono probabilmente le condizioni per arrivare a un testo unificato alla Commissione Lavoro della Camera. Se questo avvenisse, il PD potrebbe sostenere questa soluzione che risolverebbe il problema della presenza nei luoghi di lavoro dei delegati di tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (nessuna esclusa) e il tema del censimento della rappresentatività dei sindacati che hanno diritto di stipulare contratti nazionali di categoria.
Redistribuzione degli orari di lavoro e superamento della defiscalizzazione per gli straordinari.
Introduzione di politiche attive per la mobilità e il reinserimento lavorativo.
Regolazione della partecipazione dei lavoratori alla governance dell’impresa.
Promozione della salute e sicurezza sul lavoro. L’azione pubblica in materia di lavoro deve essere finalizzata alla ricerca di una occupazione non solo quanto più possibile ampia ma, al contempo, dignitosa e, comunque, tale da non arrecare alcun pregiudizio alla salute ed alla dignità dei prestatori di lavoro. La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è un tema che certifica il grado di avanzamento civile, sociale, economico e morale di un Paese e deve essere quindi patrimonio della coscienza collettiva. La battaglia per la sicurezza e la riduzione degli incidenti sul lavoro è una battaglia di civiltà.
Correzione del sistema previdenziale superando il dramma degli esodati, risolvendo il problema delle ricongiunzioni e delle indicizzazioni. Occorre affrontare l’introduzione della flessibilità in uscita dal lavoro verso la pensione, la definizione di meccanismi che garantiscano una pensione adeguata e dignitosa per le giovani generazioni; l’apertura di un tavolo di concertazione tra Governo e parti sociali sull’adeguamento delle pensioni medio-basse con la revisione dei meccanismi di indicizzazione.
L’insostenibile peso del cuneo fiscale è causa della perdita quantitativa della produttività e spinge a una modesta dinamica delle retribuzioni. Le risorse liberate dagli interventi di riordino fiscale e una diversa rimodulazione delle fonti dei prelievi, unitamente alla lotta contro l’evasione, vanno prioritariamente indirizzate in questa direzione.
Sul versante più specifico del welfare riteniamo che si debba:
ricondurre il dipartimento delle dipendenze nella sua collocazione istituzionale e dunque presso il ministero della salute;
rivedere i ticket sanitari: uso dell’Isee ma anche tetto massimo al ticket tale da mantenere la competitività nei confronti del privato;
investire su un vero federalismo sanitario: rafforzamento del ruolo del ministero della salute e delle agenzie sanitarie come soggetti che devono garantire standard omogenei nel rispetto dei Lea su tutto il territorio nazionale;
investire sulla scienza medica e sul sostegno della ricerca in sanità, uno dei settori in crescita, a più alto tasso di innovazione;
nel campo del sociale, accorpamento delle deleghe riunificando il dipartimento della famiglia e quello delle politiche giovanili con quello delle politiche sociali e garantendo al contempo un accorpamento e rafforzamento dei fondi sociali a cui deve essere data una prospettiva pluriennale per permettere una vera attività di programmazione della rete integrata dei servizi sociali;
prevedere un Piano nazionale per la non autosufficienza con forte integrazione socio sanitaria;
Attuare politiche a favore delle persone con disabilità, in primo luogo favorendone l’inserimento lavorativo, uniformando e velocizzando i criteri di accertamento della disabilità, investendo sull’accessibilità a partire dai trasporti e sostenendo i progetti di vita indipendente.
Insieme all’istruzione, e in stretto legame con essa, la cultura deve rappresentare uno degli assi nell’azione del Governo, tanto in chiave di tutela e conservazione del patrimonio storico e delle eccellenze culturali quanto per il loro ruolo all’interno di una società fondata sulla conoscenza. Sono settori vitali – di primaria pertinenza pubblica – che hanno bisogno di una visione strategica e di un coordinamento operativo tra i Ministeri della Cultura e Turismo e quello dell’Istruzione. E’ essenziale tornare a considerare la Cultura in tutte le sue manifestazioni – monumenti, paesaggio, musei, biblioteche e archivi, musica, spettacolo – non soltanto come un bene da preservare e incentivare per il suo valore ma come opportunità di sviluppo economico e sociale. E questo tanto più in un paese come il nostro che ha il dovere di tutelare e valorizzare uno tra i più grandi giacimenti artistici, culturali, architettonici, ambientali e storici dell’intera umanità. Questa enorme ricchezza non è un fardello che pesa sul budget dello Stato, ma una straordinaria fonte di lavoro e ricchezza per i cittadini e la Nazione. E’, dunque, necessario avere una visione strategica della tutela e valorizzazione dei beni artistico-culturali e di quelli paesaggistici, così come del sistema della produzione culturale.
Pensiamo sia necessario incentivare:
una politica di rilancio per il Mibact con la fine dei tagli lineari che hanno dimezzato risorse già inadeguate;
una sburocratizzazione dell’apparato centrale e la valorizzazione degli organismi tecnici dei territori e degli organismi tecnico-scientifici;
l’attuazione dei piani paesaggistici regionali;
la valorizzazione del patrimonio archeologico, architettonico e museale anche attraverso un intervento costante di manutenzione ordinaria;
un controllo più efficiente dell’edilizia abusiva e della cementificazione che continua a saccheggiare il paesaggio.
Un ultimo capitolo specifico riguarda il Mezzogiorno.
L’obiettivo del superamento del divario territoriale del Paese deve tornare tra le priorità di una politica economica. Servono:
Una nuova governance delle politiche di coesione. Sono evidenti i limiti di efficacia nella gestione dei fondi (europei e nazionali) per la coesione territoriale. Gli sforzi compiuti per accelerare la spesa e non perdere le risorse non sono bastati. Occorre accelerare la costituzione dell’Agenzia per la Coesione territoriale, immaginandola come lo strumento che superi definitivamente un approccio burocratico al coordinamento e al monitoraggio degli interventi strutturali. Occorre, poi, ripristinare l’operatività immediata e la capienza del Fondo nazionale per lo Sviluppo e la Coesione, come strumento complementare rispetto ai fondi strutturali europei, focalizzandolo sugli interventi che mirano a colmare i deficit infrastrutturali e logistici insuperati nei precedenti cicli di programmazione.
Piano per l’impresa e il lavoro di qualità. Occorrono politiche industriali specifiche per l’area – non solo crediti d’imposta per lavoratori svantaggiati o per investimenti generici – per attivare processi di internazionalizzazione e innovazione, consolidando e rafforzando l’esistente (salvaguardando e rilanciando l’industria manifatturiera puntando all’obiettivo dell’Industrial Compact), ma anche favorendo la penetrazione in settori “nuovi” in grado creare “nuove” opportunità di lavoro (autonomo, dipendente e cooperativo), specie per i giovani ad elevata formazione. Puntare sulla crescita dimensionale dell’impresa manifatturiera e sull’innovazione tecnologica; incentivare le produzioni sostenibili (a partire dalla mobilità); sviluppare in modo diffuso le energie rinnovabili; sviluppare filiere agro-alimentari di qualità nella prospettiva dell’integrazione mediterranea; avviare una moderna industria, non solo turistica; favorire i servizi avanzati e l’impresa sociale, come veicolo di integrazione, anche tra generazioni, per una civiltà della convivenza e del benessere; investire in formazione e strutture scolastiche. Infine, l’impegno sul miglioramento dei servizi pubblici diventa una leva “democratica” anche come opportunità occupazionale dei giovani.
Conversione all’efficienza energetica dell’edilizia pubblica e privata. Riassetto idrogeologico. Occorrono investimenti sull’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica e potenziamento di iniziative come il “Patto dei sindaci”, in ottica anche di spending review: effettuare spesa in conto capitale per abbattere futura spesa corrente. Occorre rafforzare gli incentivi per convogliare il risparmio privato verso l’efficientamento energetico dell’edilizia residenziale e delle case di proprietà (con sconti progressivi sull’IMU). Al Sud serve un piano straordinario di manutenzione e di piccole opere pubbliche, in cui impiegare anche il personale precario in esubero delle amministrazioni regionali (ad esempio, nel settore della forestazione) e degli enti locali, attraverso la costituzione di consorzi ad hoc, soprattutto in vista del progressivo superamento delle province e degli altri enti pubblici intermedi.
Le performance degli studenti meridionali sono largamente influenzate dal retroterra economico-sociale. Pertanto servono la valorizzazione, anche economica, degli insegnati in aree degradate; un piano specifico per la messa in sicurezza degli edifici e per il rafforzamento di strutture e laboratori; interventi per la diffusione del “tempo pieno” al Sud.
DIRITTI E QUALITA’ DELLA DEMOCRAZIA
Oltre all’introduzione finalmente di una disciplina efficace in materia di conflitto di interessi una assoluta centralità deve rivestire la contestualità tra le riforme costituzionali (Superamento del bicameralismo e riforma del Titolo V) e la revisione della legge elettorale che deve ispirarsi a una ragionevole previsione di governabilità, a un criterio di rappresentatività che rispetti e valorizzi il principio costituzionale sull’equilibrio di genere e alla restituzione ai cittadini del diritto di scelta dei parlamentari. In questo senso è giusto superare l’ipotesi di liste bloccate con un Parlamento “nominato” dai vertici dei partiti mentre, riconoscendo come opportuno il coinvolgimento nel percorso riformatore delle forze di opposizione, restiamo convinti che sia saggio muovere da un rinnovato accordo delle forze della maggioranza.
Le riforme costituzionali ed elettorale sono importanti ma non esauriscono il tema di fondo rappresentato dalla necessità di rifondare il patto di fiducia tra i cittadini e lo Stato: dal rispetto del patto fiscale alla riforma della giustizia civile e penale (compresi i diritti e il trattamento dei detenuti negli istituti di pena) passando per la semplificazione di una giungla burocratica e spesso vessatoria fino all’urgenza di una lotta efficace a fenomeni corruttivi dal costo insostenibile in termini sia morali sia materiali. In questo senso la riforma della Pubblica Amministrazione è un punto centrale e non può essere affrontato in modo superficiale (per capirci non è solo un problema di costi del personale) né confuso (come nel caso della riforma delle province). Dovremmo anche discutere della possibilità di arrivare a un contratto unico per i ministeriali (presidenza del consiglio compresa). Sul Titolo V la riforma è l’occasione per una razionalizzazione e riorganizzazione del livello di governance dello Stato fino ai Comuni, tagliando la moltiplicazione dei centri di decisione che hanno gonfiato la spesa e con la restituzione alle Regioni del loro ruolo di programmazione e controllo.
Un governo che abbia la volontà di sbloccare e rinnovare il Paese deve proporsi un cambio di passo sui metodi per una selezione delle nomine a Enti e società partecipate dal pubblico che favorisca competenza, trasparenza e qualità. La forma può essere quella di un Comitato di garanti, dell’Albo pubblico dei curricola, di regole che non prevedano riconferme nello stesso ruolo dopo due mandati, dell’impossibilità dell’accumulo di incarichi, etc.
I diritti – umani, sociali, civili, culturali – sono la leva formidabile di una crescita stabile e qualitativamente solida. Un Esecutivo impegnato in un orizzonte di medio periodo è tenuto a rispettare e fare avanzare l’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza tra tutti i cittadini e sul superamento degli ostacoli che ne rallentano o impediscono la piena espressione. Su queste tematiche la maggioranza che sostiene il tentativo in atto è attraversata da sensibilità e visioni differenti. Ma per un partito democratico e per il centrosinistra diritti e doveri della persona sono traguardi fondamentali. Per altro la qualità di una nuova economia sempre più viene declinata dall’Europa su questa frontiera che vede l’Italia spesso colpevole di gravi ritardi.
In questo senso proponiamo:
di implementare azioni e programmi contro la tratta di esseri umani, per la tutela dei diritti umani delle donne e contro il femminicidio;
che ai ragazzi nati o cresciuti in Italia con un genitore regolarmente soggiornante nel nostro paese da cinque anni, venga riconosciuta la cittadinanza. A questo si può aggiungere per quanti arrivati qui da bambini, come requisito per la cittadinanza, che abbiano compiuto un ciclo scolastico (elementari, o medie o superiori) Si tratta di uno Ius Soli temperato che ha poco a che fare con il modello originale di stampo anglosassone;
di ripensare le politiche dell’immigrazione e della cittadinanza: Riconoscere i diritti e dare stabilità agli oltre cinque milioni di donne e uomini che hanno scelto di vivere e lavorare nel nostro Paese è una forma intelligente di investimento su un capitale umano necessario al nostro sistema oltre che una sfida di civiltà;
la cancellazione del reato di clandestinità;
un testo organico di legge che in osservanza della Convenzione di Ginevra e della nostra Costituzione protegga effettivamente coloro ai quali venga riconosciuto lo status di rifugiato;
una legge sul riconoscimento civile e giuridico delle coppie di fatto omosessuali;
di procedere al completamento della legge di contrasto a omofobia e transfobia;
la piena applicazione della legge 194, completamento della rete dei consultori e degli asili nido. Nuove norme per la fecondazione medicalmente assistita e per una legge saggia e umana sulla Dichiarazione di fine vita.
Chiediamo che di questa impostazione si tenga conto nel percorso politico e programmatico del nuovo governo.
Roma, 23 febbraio 2014