Misure di assistenza sanitaria ed economica per le vittime di violenze di genere

Misure di assistenza sanitaria ed economica per le vittime di violenze di genere

Ho presentato, assieme alla collega Roberta Agostini, un’interpellanza al Governo sul tema dell’assistenza sanitaria ed economica per le vittime di violenze di genere.
Di seguito l’interpellanza e la risposta del Governo:

(Intendimenti del Governo circa l’introduzione di misure volte ad assicurare assistenza sanitaria ed economica alle vittime della violenza di genere – n. 2-01262)
  PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Roberta Agostini ed altri n. 2-01262, concernente intendimenti del Governo circa l’introduzione di misure volte ad assicurare assistenza sanitaria ed economica alle vittime della violenza di genere (Vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti). 
  Chiedo alla deputata Roberta Agostini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
  ROBERTA AGOSTINI. Signora Presidente, sottosegretario, l’interpellanza che rivolgiamo al Governo verte in particolare sulla vicenda di Chiara Insidioso Monda, la ragazza di diciannove anni che fu aggredita e ridotta in fin di vita ormai due anni fa dal suo compagno di allora, Maurizio Falcioni, condannato prima a vent’anni e poi a sedici anni di reclusione. Chiara, a seguito della violenza subita e dei dieci mesi di coma che ne sono seguiti, non potrà più riprendere una vita normale ed avrà bisogno di cure ed assistenza speciale. Attraverso il caso di Chiara vogliamo sottoporre al Governo la questione delle vittime di violenza che proprio a causa delle violenze subite non sono più in grado di provvedere a sé stesse mentre i colpevoli del reato non possono far fronte a nessun indennizzo. Il nostro Parlamento ha approvato prima la Convenzione di Istanbul, che prevede che le vittime abbian diritto di richiedere un risarcimento agli autori di reato ma anche che un risarcimento da parte dello Stato possa essere accordato a coloro i quali abbiano subito gravi pregiudizi all’integrità fisica o alla salute, se la riparazione del danno non è garantita da altre fonti. Esistono inoltre diverse fonti normative a carattere europeo che imporrebbero che l’Italia stabilisse una procedura risarcitoria agevole in materia di indennizzo alle vittime di reati intenzionali violenti, a partire dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tutela delle vittime di reati del 1983 fino alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, mentre, al contrario appunto, l’Italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati e la nostra legislazione prevede l’indennizzo solo delle vittime di alcuni reati, come il terrorismo o la criminalità organizzata. In realtà finora noi non abbiamo adottato i provvedimenti necessari per modificare la nostra legislazione. Presidente, sottosegretario, la violenza contro le donne è un reato odioso e di particolare allarme sociale, è un fenomeno che si annida nella normalità della vita familiare, nelle relazioni di coppia tra uomini e donne, siamo colpiti quando i giornali riportano i casi efferati come quello di Chiara o come quelli apparsi sui giornali appunto qualche giorno fa. Lo ricorda la scrittrice Michela Murgia su la Repubblica qualche giorno fa, le ultime tre in ordine di tempo Marinella, Carla e Luana. Marinella uccisa dal marito il primo febbraio a Catania, che l’ha strangolata davanti al figlio di quattro anni; lo stesso giorno a Pozzuoli una di loro, incinta al nono mese, è stata ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco; il 2 febbraio un’altra è morta quasi decapitata dal marito fuggito poi contromano in autostrada. Questi sono alcuni casi perché le cifre, quelle aride che leggiamo sulle statistiche dell’Istat, forse non ci rendono bene conto del fenomeno che comunque colpisce 6.788.000 donne in Italia che hanno subito qualche forma di violenza nella loro vita e nel 62 per cento dei casi a commetterla sono stati i propri partner oppure gli ex compagni o qualche familiare, qualche amico. Noi negli anni scorsi a seguito proprio della ratifica della Convenzione di Istanbul abbiamo messo in campo, approvato una vera e propria strategia, anche piuttosto complessa, per affrontare il fenomeno della violenza, una strategia complessa che è formata da diverse iniziative e da diverse azioni. Per esemplificarle noi diciamo la strategia delle tre P, che è quella della prevenzione della violenza, della punizione dei colpevoli e della presa in carico delle vittime, una strategia complessa che ha bisogno di azioni concrete e di risorse per essere messa in pratica. 
  Quindi abbiamo approvato la legge contro il femminicidio, la legge n. 119 del 2013, e abbiamo voluto che in quella legge si prevedesse all’articolo 5 la predisposizione di un vero e proprio piano nazionale antiviolenza, che definisse una rete appunto di presa in carico, di prevenzione e di punizione, una rete articolata a partire proprio dai territori. Abbiamo voluto risorse per finanziare queste azioni, le abbiamo volute anche nell’ultima legge di stabilità. Aiutare, sostenere le donne vittime di violenza soprattutto quando non sono più in grado di provvedere a se stesse come nel caso di Chiara fa parte di questa strategia, aiutarle, sostenerle, accompagnarle nel processo di reinserimento, al di là del momento dell’emergenza immediata, fa parte di questa strategia, perché mette in campo e precisa un’ottica di presa in carico complessiva della persona. Quindi noi chiediamo al Governo, all’interno di questa strategia complessa che è stata delineata e che è stata definita, se e come intende definire anche strumenti operativi per sostenere dal punto di vista economico, sociale e sanitario le vittime, anche in ottemperanza alle previsioni contenute nelle tante fonti europee e in particolare nella Convenzione di Istanbul.
  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.
  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signora Presidente l’onorevole Agostini, ricordando gli ultimi agghiaccianti episodi di violenza che negli ultimi giorni si sono verificati nei confronti di tre donne che sono state uccise per mano di ex mariti o compagni di vita, oltre a sollecitare una riflessione approfondita sul fenomeno evidenzia le conseguenze che tali episodi determinano nella vita dei familiari delle vittime, spesso ridotte ad un’esistenza in stato solo vegetativo. In particolare l’onorevole Agostini richiama alla memoria uno degli episodi più orribili di violenza avvenuto negli ultimi anni, quello che ha coinvolto Chiara Insidioso Monda, la quale attualmente si trova in stato vegetativo dopo essere stata aggredita brutalmente dal compagno, ridotta in fin di vita ed essere rimasta in coma per dieci mesi. La famiglia di Chiara, come quelle di altre vittime di violenza, che deve sostenere ingenti spese e inoltre affrontare le difficoltà lavorative che spesso incontra chiunque debba assistere un familiare così gravemente colpito. L’onorevole interpellante sottolinea che la Convenzione di Istanbul prevede che per il sostegno alle vittime di violenza gli Stati si dotino di fondi e di misure finanziarie necessarie per sostenere le vittime di violenza e le loro famiglie nel loro difficile percorso di ritorno alla vita. Al riguardo chiede al Governo se alla luce dell’evoluzione della normativa internazionale e nazionale ritenga di assumere iniziative per introdurre misure specifiche volte a garantire l’assistenza sanitaria ed economica alle vittime di violenza di genere che a seguito dell’episodio di violenza si trovino nella condizione di non poter provvedere a se stesse. In merito a quanto segnalato si evidenzia che l’Italia ha con tempestività ratificato con la legge 27 giugno 2013, n. 77, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza, entrata in vigore a seguito della ratifica da parte del decimo Stato membro del Consiglio d’Europa proprio il 1o agosto 2014. In linea con quanto stabilito nella citata Convenzione, il Governo ha adottato il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con la legge 15 ottobre 2013, n. 119, che porta il titolo «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza per il contrasto della violenza di genere nonché in tema di Protezione civile e di commissariamento delle province». L’intervento normativo del Governo si è mosso su un duplice binario, quello della protezione e quello della prevenzione, tramite la previsione di norme che potenzieranno gli strumenti già esistenti in tale ambito di intervento, e quello sanzionatorio-repressivo, novellando le vigenti disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale nel rispetto ed in linea con i contenuti della stessa Convenzione. In particolare, al fine di rafforzare i meccanismi che consentono di impedire il verificarsi di reati e di limitare le conseguenze, si segnala che il decreto-legge n. 93 prevede all’articolo 5 l’adozione da parte del Ministro delegato alle pari opportunità, previa intesa con la Conferenza unificata, l’adozione di un piano straordinario di azione contro la violenza sessuale e di genere. 
  In effetti il Piano deve perseguire finalità di prevenzione del fenomeno e la violenza di genere mediante una pluralità di azioni in diversi ambiti: campagne di pubblica informazione e di sensibilizzazione, promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi, nonché di tematiche antiviolenza e di antidiscriminazione degli stessi libri di testo, potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e di protezione delle vittime di violenza di genere e distalking, formazione specializzata degli operatori, collaborazione tra istituzioni, raccolta ed elaborazione dati, previsione di specifiche azioni positive, configurazione di un sistema digovernance del fenomeno tra i diversi livelli di governo sul territorio. 
  Il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato, in effetti, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 7 luglio 2015, ed è stato registrato dalla Corte dei conti in data 25 agosto 2015, e conseguentemente si sta provvedendo all’attuazione dello stesso. Tra le primissime azioni è prevista la creazione di una banca dati nazionale, dedicata al fenomeno della violenza contro le donne, per meglio intercettare la mutabilità del fenomeno e consentire una migliore definizione delle strategie di intervento da adottare. 
  In data 1o dicembre 2015, si è insediato un gruppo di esperti che ad hoc è stato nominato. Tra le specifiche finalità del Piano d’azione, è previsto anche il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza. Al predetto potenziamento, ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 5-bisdel decreto n. 93 del 2013, nonché dal Piano d’azione di cui al DPCM che ho citato, è destinato uno specifico finanziamento di carattere permanente, pari a 10 milioni di euro per il 2013, 7 milioni di euro per il 2014 e 10 milioni euro l’anno a decorrere dal 2015, assegnati sul Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità. 
  Nel rispetto di quanto previsto proprio dall’articolo 5-bis, comma 2, del decreto, il Dipartimento per le pari opportunità, con DPCM del 24 luglio 2014, ha ripartito in un’unica soluzione le risorse stanziate per gli esercizi finanziari 2013-2014, per un importo totale pari a 16 milioni di euro. Con il riparto delle risorse finanziarie a regime per i prossimi anni, il Dipartimento per le pari opportunità avrà a disposizione dati forniti dalle regioni, relativi alla presenza sul territorio nazionale dei centri antiviolenza e di case rifugio nel territorio nazionale, nonché avrà la possibilità di individuare, sulla base dei requisiti minimi uniformi su tutto il territorio nazionale, stabiliti dall’intesa tra Governo e regioni, i centri antiviolenza e le case di rifugio che potranno accedere alla ripartizione delle risorse. 
  Attualmente il Dipartimento per le pari opportunità sta ultimando la fase istruttoria, ai fini dell’adozione del DPCM per il riparto delle risorse stanziate per l’esercizio finanziario 2015. 
  Per garantire un coordinamento costante tra diversi soggetti, deputati alla definizione delle politiche di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere, l’articolo 3 del Piano d’azione prevede anche che venga costituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le pari opportunità, una cabina di regia interistituzionale, con funzioni di coordinamento e di impulso alle azioni programmate in materia di contrasto del fenomeno della violenza contro le donne e composta dai rappresentanti delle amministrazioni statali coinvolte, dai rappresentanti delle regioni, nonché dai rappresentanti degli enti locali designati in Conferenza Stato-città. 
  Il medesimo articolo 3 del Piano prevede, inoltre, che venga costituito un apposito Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza, con compiti di supporto alla cabina di regia e di formulazione di proposte di intervento attinenti all’attuazione del Piano, nonché al relativo monitoraggio. Attualmente stanno pervenendo le designazioni da parte delle amministrazioni coinvolte e, pertanto, a breve, saranno costituiti entrambi gli organismi previsti, come dicevo prima, dall’articolo 3 del Piano di azione. 
  Infine, si segnala che la legge 28 dicembre 2015, la legge di stabilità, ha previsto, in attuazione della direttiva n. 29 del 2012, che, entro 60 giorni dalla entrata in vigore della legge di stabilità stessa, il Presidente del Consiglio dei ministri definisca, a livello nazionale, con apposito decreto, di concerto con i Ministri della giustizia, della salute e dell’interno, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, le linee guida volte a rendere operativo il «Percorso di tutela delle vittime di violenza», istituito ai sensi del comma 790 del citato articolo 1, nelle aziende sanitarie e ospedaliere, al fine di tutelare le persone vulnerabili, vittime dell’altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori, così come anche disciplinato dallo stesso Piano d’azione sopra citato. 
  Sono attualmente in corso le attività propedeutiche all’emanazione del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, contenente specificamente queste linee guida. Per l’attuazione di queste linee guida si provvederà, successivamente, alla costituzione di gruppi multidisciplinari, finalizzati a fornire l’assistenza giudiziaria, sanitaria e sociale, così come previsto dall’articolo 1, comma 791, della legge di stabilità. 
  All’istituzione del Percorso di tutela delle vittime di violenza si provvede con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste a legislazione vigente. 
  Secondo un’indagine dell’Istat, condotta su un campione di circa 25 mila donne, in Italia quasi 7 milioni di donne tra i sedici e i settant’anni hanno subito, almeno una volta, all’interno o all’esterno della famiglia una violenza fisica, sessuale, o addirittura entrambe. Le conseguenze di queste forme di violenza possono perdurare per tutto l’arco della vita, affliggere anche le persone che circondano la vittima, in primis i figli, ed avere seri effetti negativi sulla salute fisica e mentale, sulla formazione scolastica, sull’occupazione e sull’economia generale del Paese. 
  Data la complessità del fenomeno, è quindi fondamentale utilizzare un modello di intervento coordinato, multidisciplinare e interistituzionale, che risponda in modo articolato e completo ai bisogni delle donne vittime di violenza. C’è bisogno di protezione fisica, di strutture di accoglienza in emergenza, di aiuto sanitario e psicologico, di aiuto legale ed economico, e di un accompagnamento in un nuovo progetto di vita che porti la donna a superare la violenza subita. Questi interventi devono essere coordinati ed attuati con accurata conoscenza del fenomeno e utilizzando indicatori di gravità e valutazioni del rischio di recidiva ed escalation del fenomeno. 
  L’Organizzazione mondiale della sanità, nelle recenti linee guida, indica con decisione questo indirizzo di politica sanitaria. 
  In questo ambito il Ministero della salute è in prima linea per identificare tutte le azioni necessarie per favorire la presa in carico delle donne vittime di violenza, in sinergia con gli altri attori istituzionali; si sta facendo parte attiva per promuovere, come indicherò, l’adozione su tutto il territorio nazionale di modelli virtuosi di assistenza e sostegno alle vittime attraverso reti operative territoriali. 
  È noto che i servizi di pronto soccorso negli ospedali sono i luoghi cui più frequentemente le donne vittime di violenza di genere si rivolgono quando decidono di chiedere aiuto o quando il livello di violenza rende indifferibile un intervento sanitario. 
  Presso alcuni pronto soccorso, quindi, è stata sperimentata la predisposizione di una «stanza rosa», luogo dedicato all’accoglienza e alla presa in carico della vittima di violenza, in cui la stessa possa sentirsi protetta, compresa ed aiutata, e dove i tempi sono quelli più adeguati alla situazione. Qui, la vittima è circondata da persone formate e, quindi, competenti, in grado di interagire tra di loro in modo sinergico e sequenziale, secondo quanto previsto dallo specifico protocollo che prevede un lavoro di squadra con i diversi operatori: operatori socio-sanitari, forze dell’ordine, volontari del soccorso, operatori dei centri antiviolenza. 
  Nell’ambito del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, è in corso un progetto dal titolo «Controllo e risposta alla violenza su persone vulnerabili: la donna e il bambino, modelli d’intervento nelle reti ospedaliere e nei servizi sociosanitari in una prospettiva europea», coordinato proprio dalla regione Liguria. Questo progetto prevede sette regioni coinvolte: Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio, Basilicata e Sicilia. Al momento sono stati coinvolti attivamente sette servizi di pronto soccorso a Torino, Genova, Milano, Roma e Palermo; a regime collaboreranno anche altri dodici pronto soccorso e saranno coinvolti anche Grosseto, Siena, Arezzo, Teramo, Civitavecchia, Messina e Forlì. 
  L’obiettivo generale è l’armonizzazione e valutazione di efficacia dei protocolli di riconoscimento, accoglienza, presa in carico e accompagnamento nei casi di violenza sulla donna in ambito relazionale e anche sul bambino. Tra gli obiettivi specifici è prevista la registrazione degli eventi violenti in pronto soccorso, secondo un dataset. 
  Le progettualità descritte contribuiscono al miglioramento dell’assistenza delle donne vittime di violenza attraverso la formazione degli operatori, la diffusione del modello del «codice rosa» e la raccolta di dati epidemiologici, in modo da monitorare il fenomeno e orientare opportunamente gli interventi. 
  Riguardo, invece, agli aspetti di stretta competenza del Ministero della giustizia in tema di normazione in materia di contrasto alla violenza sulle donne, si segnala come la tematica in oggetto abbia da sempre avuto un ruolo prioritario nell’agenda di questa amministrazione. La finalità degli interventi repressivi del fenomeno, specie negli ultimi anni, oltre ad offrire un’adeguata tutela alle vittime del reato, sono tese ad anticipare la soglia della rilevanza penale dei fatti. 
  Con il decreto-legge n. 93 del 2013, prima richiamato si è fornito un articolato intervento normativo teso ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate all’anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica, intervenendo sulla disciplina delle fattispecie di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e violenza sessuale, agendo sulla leva sanzionatoria e configurando nuove aggravanti, prevedendo sul versante della legge processuale misure precautelari e meccanismi di tutela della persona offesa in occasione della revoca o sostituzione di quelle cautelari. 
  Inoltre, nell’ambito della comunità internazionale, l’ordinamento italiano si colloca tra quelli che già assicurano un elevato grado di conformità alla Convenzione di Istanbul più volte citata, anche sotto il profilo della tutela penale. Con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, si è, poi, data attuazione alla direttiva 2011/36/UE relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta degli esseri umani e alla protezione delle vittime. 
  Centrale, in questo caso, l’esigenza di rafforzamento della tutela delle vittime, anche attraverso un’adeguata informazione sui loro diritti, nonché attraverso percorsi formativi nei confronti degli operatori che entrano in contatto con le vittime stesse. In particolare, l’articolo 4 è dedicato ai minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta, e definisce una serie di disposizioni affinché sia assicurata nei loro confronti una particolare protezione: ad esempio, l’obbligo di informazione del minore sui diritti di cui gode, incluso l’eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale. Gli articoli 5 e 10 fanno riferimento agli obblighi di formazione che debbono essere adempiuti dalle pubbliche amministrazioni nello svolgimento dei compiti di assistenza e sostegno alle vittime. 
  Vale, da ultimo, ricordare anche l’attenzione della Scuola superiore della magistratura che, a livello programmatico, ha inserito nell’offerta formativa proprio del 2016 due corsi riguardanti, l’uno, la protezione dei soggetti deboli e, l’altro, la violenza contro donne e minori. In quest’ultimo, l’intento perseguito è quello di porre a confronto differenti conoscenze e di approfondire la tematica sotto un profilo multidisciplinare, giuridico, sociologico, psicologico e criminologico. 
  Riguardo, invece, alla menzionata violenza perpetrata in danno di Chiara Insidioso Monda, la competente procura della Repubblica di Roma, interpellata sul punto, ha comunicato che il procedimento iscritto nei confronti di Falcioni Maurizio per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato e di tentato omicidio pluriaggravato si è concluso in primo grado con la condanna dell’imputato a venti anni di reclusione, interdizione legale per la durata della pena ed interdizione perpetua dai pubblici uffici. 
  Con sentenza n. 7099/15, emessa nell’udienza del 4 novembre 2015, non ancora irrevocabile, la corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti del Falcioni in anni sedici di reclusione e confermato tutte le altre statuizioni.
  PRESIDENTE. La deputata Fabbri ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all’interpellanza Roberta Agostini ed altri n. 2-01262, di cui è cofirmataria.
  MARILENA FABBRI. Grazie, Presidente. Grazie, sottosegretario De Filippo, soprattutto per la risposta particolarmente articolata e puntuale, che evidenzia il lavoro che è stato fatto in questi ultimi anni proprio per colmare un vuoto che c’era nella nostra legislazione rispetto alla tutela delle vittime e, in particolare, alla tutela delle vittime di violenza domestica o sessuale. Per cui ci riteniamo, insieme alla collega Agostini, parzialmente soddisfatte; parzialmente, perché, appunto, il lavoro che è stato fatto e che si sta facendo nel cercare di dare attuazione a questi provvedimenti normativi è importante e lo si può rilevare, come è stato detto, dalla prevenzione alla formazione che si sta avviando anche verso gli operatori di giustizia – non ultima la scuola di formazione della magistratura –, gli operatori delle forze dell’ordine, gli importanti interventi che devono essere fatti, e che sollecitiamo all’interno delle scuole, di educazione alla differenza e alla gestione dei conflitti, proprio per ridurre, poi, il rischio che i nostri ragazzi, in età adulta, si trovino ad essere autori di reati o di violenza verso le proprie compagne o compagni. 
  Siamo parzialmente soddisfatte, perché riteniamo che i provvedimenti che sono stati finora avviati sul piano normativo e, in via attuativa, dal Governo attraverso i decreti o il Piano antiviolenza siano principalmente mirati su due fronti: quello della prevenzione, della formazione degli operatori per l’accoglienza in ambito sanitario, sociale e giudiziario e quello della presa in carico nell’emergenza. Riteniamo, però, di essere ancora carenti nel mantenimento della presa in carico. Soprattutto ricordando gli ultimi eventi violenti che hanno coinvolto tre donne, gli atti di violenza dei propri mariti o compagni volti a mutilare, sfregiare in maniera pesante le proprie vittime, le proprie compagne, se non addirittura a portarle alla morte. In alcuni casi, verrebbe quasi da pensare che è meglio la morte che non i danni permanenti e invalidanti che vengono provocati e che rimangono a vita sulle vittime, come segni indelebili anche nei confronti di chi assiste a quelle violenze, che, molto spesso, sono i figli. 
  Quindi, il tema è proprio quello del dopo, la presa in carico nell’emergenza. È importante sicuramente anche questo decreto sulle linee guida, su cui si sta lavorando per la presa in carico negli ospedali – ricordiamo che, però, ci sono diversi progetti sperimentali in corso in Italia, non solo quelli che venivano citati nella risposta all’interpellanza –, ma il tema è quando si esce dall’ospedale, si esce dall’emergenza e si rimane a vita in uno stato di invalidità che, a volte, può comunque consentire la ripresa del lavoro, però in un contesto protetto o, in altri casi, sempre più spesso, invece, determina un’assistenza permanente da parte dei genitori o di strutture specializzate. Ciò che si sta verificando è proprio il costo di questi danni che rimangono a vita sulle persone coinvolte e sui loro familiari e che non sempre sono immediatamente affrontabili da parte delle vittime stesse o dei loro familiari. 
  Quindi, credo che noi dobbiamo assolutamente prenderci carico di istituire un fondo che indennizzi le vittime, ma non solo nel caso in cui l’autore di reato sia sconosciuto, irreperibile o nullatenente e solo a seguito di sentenza definitiva di condanna e di riconoscimento dei danni, ma anche ci si faccia carico di sostenere le vittime nella fase di cura e di riavvio a una vita. Perché molto spesso il risarcimento danni arriva dopo anni, dopo decenni di processi, ma le vittime devono immediatamente, dal giorno dopo, riprendersi cura di sé e sostenere spese anche rilevanti, non solo sanitarie – magari quelle sono anche coperte dal Sistema sanitario –, ma io penso anche alle spese psicologiche per recuperare comunque un equilibrio dopo eventi di questo tipo o anche di chirurgia estetica. 
  Lo abbiamo visto dagli ultimi casi: la violenza è anche sempre più tesa ad umiliare la vittima anche nell’aspetto fisico, a renderla comunque nelle condizioni di non più riconoscere se stessa e magari anche di ipotecare completamente una vita futura di carattere affettivo. Parliamo dell’uso dell’acido, l’uso del fuoco, le pugnalate, anche nel viso, non solo nel corpo. Quindi l’obiettivo è proprio quello di impedire, anche nel caso si sopravviva alla violenza, una vita sociale e affettiva futura. È ovvio che le spese, ad esempio, di chirurgia plastica che oggi non sono contemplate dal Servizio sanitario come spese che possono essere esentate, vadano tra quelle che invece vanno riconosciute in casi di questa gravità, così come il sostegno ai figli, perché queste donne possono essere uccise, quindi in questo caso proprio completamente impedite nel poter proseguire nel mantenimento dei figli, o messe in condizioni di non poter più avere un lavoro, e quindi di non avere comunque la capacità economica di sostenerli. 
  Per concludere, credo sia importante il lavoro che è stato fatto fino adesso sia in Parlamento, attraverso le norme che sono state previste in questi anni, sia nei decreti attuativi e nei tavoli tecnici che sono stati istituiti a livello governativo, proprio per dare ottemperanza a quanto previsto dal Parlamento. Ma è assolutamente necessario anche lavorare per l’istituzione di un fondo per le vittime che si faccia carico delle spese, sia nella fase di accompagnamento, di ricomposizione della propria vita, sia delle spese eventualmente permanenti che la violenza determini o che non possono essere messe a carico dell’autore del reato in quanto, come si diceva prima, sconosciuto, irreperibile, nullatenente oppure egli stesso deceduto, perché abbiamo visto che gli autori di questi reati poi si tolgono la vita in qualche modo venendo anche meno alle responsabilità e alla gravità di quello che hanno commesso. 
  Quindi, nel ribadire la soddisfazione parziale, c’è ovviamente l’impegno e la disponibilità comune a lavorare insieme per colmare questo vuoto e dare soddisfazione in tempi brevi, nel più breve tempo possibile, alle donne italiane che sono oggetto di questa violenza da parte dei propri compagni.


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