Non è un diritto per le donne ma un dovere di ogni società plurale e non diseguale, per questo alla Camera andremo fino in fondo nella battaglia, che riteniamo di civiltà, per l’approvazione di norme antidiscriminatorie nella nuova legge elettorale. Il consenso sugli emendamenti per la parità di genere è trasversale tra le deputate delle diverse forze politiche in Parlamento e coinvolge anche molti uomini.
In Europa tre sono i modelli in essere finalizzati alla pari rappresentanza di uomini e donne nelle istituzioni:
1) investimento nel lungo periodo per promuovere la parità a livello sociale, una cultura rispettosa della diversità di genere capace di praticare la parità di accesso alle diverse opportunità di carriera professionale e politica senza norme di garanzia. È il caso dei paesi scandinavi che per 70 anni hanno investito in servizi per la famiglia, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, una più equa e responsabile ripartizione dei carichi di lavoro tra uomini e donne. (Solo Finlandia e Danimarca raggiungono senza quote rispettivamente il 43% e il 38% di donne in parlamento);
2) norme antidiscriminatorie nelle leggi elettorali per l’accesso alle istituzioni democratiche (Francia, Spagna, Belgio, Belgio, Portogallo, Slovenia, Polonia, con risultati che vanno dal 40% al 24%)
3) norme antidiscriminatorie nelle regole interne ai partiti per la formazione delle liste (Svezia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Lituania, Regno Unito, Lussemburgo, Slovacchia, Malta, Cipro, Romania, Ungheria, con risultati che vanno dal 44% della Svezia al 9% dell’Ungheria).
I processi culturali di cambiamento si possono generare per spinte innovative e dinamiche all’interno della società o perché indotti e accompagnati da norme di legge tese indirettamente (vedi investimenti sulla famiglia) o direttamente (vedi norme antidiscriminatorie nell’accesso alle istituzioni e ai consigli di amministrazione delle società pubbliche e private) a promuovere le pari opportunità di carriera. In Italia le donne rappresentano il 51,5% della popolazione, di conseguenza ci si aspetterebbe che le istituzioni rappresentative, in quanto “specchio” della società, fossero composte in misura più o meno analoga da uomini e donne. Nel campo della politica, il problema non è tanto quello della capacità, del merito della competenza, ma più semplicemente della rappresentanza. Un’insufficiente rappresentanza di donne all’interno delle istituzioni impoverisce il confronto dialettico che all’interno di quelle istituzioni deve svolgersi, limita lo spettro di risposte che le stesse sono tenute a fornire alle richieste che provengono dal Paese. La presenza delle donne nelle istituzioni non è tanto una questione di numeri, di percentuali, di quote, il problema è di “qualità della democrazia”, intesa come capacità della democrazia di dare risposte e di trovare soluzioni adeguate ad una società plurale. Attualmente in circa la metà dei paesi del mondo funzionano le quote di genere in campo elettorale. Le quote possono essere previste a livello legislativo, a volte anche costituzionale, e questo accade in circa 45 paesi, o possono essere adottati dai partiti politici su base volontaria, come accade in circa altri 50 paesi. Diversi possono essere le modalità per garantire una pari possibilità di accesso nelle istituzioni tra uomini e donne: 1) nei sistemi elettorali in cui si prevede il voto di preferenza, attraverso la doppia preferenza di genere, una donna e un uomo (in Italia è il sistema previsto per l’elezione dei consigli comunali doppia preferenza facoltativa che se esercitata deve indicare un nominativo per ciascun genere – e per il Parlamento europeo – tre preferenze di cui una di genere diverso) 2) nelle liste bloccate lunghe attraverso l’alternanza di genere nella lista; 3) nei listini bloccati corti (vd. italicum in cui ciascun partito eleggerà da uno a massimo tre candidati per collegio) per vedere una reale rappresentanza dei due generi è sui capilista che bisogna agire, con un criterio rigido come il 50% di ciascun genere nei collegi di ciascuna circoscrizione regionale, oppure con la norma antidiscriminazione che prevede non meno del 40% per ciascun genere nei capilista. Quest’ultima ipotesi noi crediamo che sarebbe alla portata di questo parlamento, considerato che, già in questa legislatura nella legge sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti sono state approvate due norme che prevedono rispettivamente: una decurtazione del 2% versato dai cittadini a favore dei partiti, per quei partiti che non candidano almeno il 40% di ciascun genere; un premio (derivante dal fondo che si forma con le decurtazioni di cui sopra) per quei partiti che eleggono almeno il 40% di donne. Io spero vivamente che in questi giorni la politica possa dare in modo netto e compatto una risposta positiva alla richiesta di democrazia paritaria, perchè ritengo che il punto non stia nella libertà dei partiti ma nella civiltà del nostro paese. In tante e tanti faremo questa battaglia ADESSO SENZA SE E SENZA MA, senza distinzione tra maggioranza e minoranza nel PD e senza distinzione tra maggioranza e minoranza in parlamento.
Ordine del Giorno votato in Direzione Nazionale PD 16 gennaio 2014
La direzione nazionale del Partito Democratico
premesso
che lo statuto del Partito democratico pone tra i suoi valori fondativi il principio della democrazia paritaria e l’impegno “a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena partecipazione politica delle donne” favorendo “la parità fra i generi nelle candidature per le assemblee elettive”;
che la piena cittadinanza femminile nella vita pubblica e delle istituzioni e’ condizione essenziale della qualità della democrazia.
considerato
che la scelta del Partito democratico di perseguire tali obiettivi ha consentito positivi passi avanti: un incremento della presenza femminile negli organismi di direzione politica, nelle assemblee elettive degli enti locali, grazie all’introduzione della doppia preferenza, e in Parlamento, dove la percentuale di elette sfiora il 40 per cento.
valutata
l’urgenza di riformare la legge elettorale per il Parlamento italiano e la possibile modifica della legge elettorale per il Parlamento europeo.
si impegna
ad inserire nelle suddette riforme, qualsiasi sia il modello adottato, norme antidiscriminatorie volte ad affermare la parità di genere.